Cara Federica

3 Feb

Schermata 2016-02-04 alle 00.01.31Cara Federica del passato,
adesso che sei a metà del percorso, ti scrivo per raccontarti un po’ quello che succede nel tuo mondo oggi, a distanza di anni.
Per prima cosa vorrei farti i miei complimenti, sei riuscita a vivere la vita che volevi vivere, senza piegarti alle convenzioni della società. Hai cambiato spesso città e vissuto esperienze sempre nuove, conoscendo persone diverse ma riuscendo a costruire un rapporto con ognuna di loro. La valigia è stata la tua compagna di viaggio, sì, ma questo potrai immaginarlo; le cose stabili ti hanno dato sempre una certa ansia.Hai sorriso tanto e pianto tanto.
Hai anche amato tanto, e purtroppo non è sempre andata come avresti voluto. Ma hai imparato a perdere. E hai scoperto che si può sopravvivere a tutto, anche se gli strascichi dell’ultima sconfitta li porti ancora addosso.
No, i momenti di solitudine non li hai ancora persi, ma ci stai lavorando. E sono sicura che un giorno riuscirai a trovare un equilibrio col mondo.
Hai trovato un lavoro che ti piace, anche se non c’entra niente con quello che hai studiato. Ti sei impegnata e sei riuscita ad avviare una tua attività. Come al solito avevi un po’ sottovalutato la cosa, ma è la prima volta che ti ho vista costante e senza rimorsi, quindi hai fatto la scelta giusta.
La tua famiglia ed i tuoi amici ti sono stati sempre vicini e sono tutti orgogliosi di te, di quella strana ragazza sempre in compagnia ma sempre sola. Ti amano e li ami tanto, anche se non sei brava a dimostrarlo. Ma almeno hai capito l’importanza dei fatti sulle parole.
L’amore non l’hai ancora trovato, ma hai un sacco di nipoti. E un gatto che adori. Giochi con i bambini, giochi col gatto, giochi con la famiglia, con gli amici e con gli sconosciuti. Giochi e non ti stanchi di farlo.

 

E ora mi rivolgo a te, Federica del futuro. Inizio subito con una raccomandazione: cerca di imparare a non avere paura delle tue emozioni ed impara a chiedere quello di cui hai bisogno. Se soffri per qualcuno, diglielo. Se vuoi bene a qualcuno, diglielo. Se ti piace qualcuno, diglielo. Non preoccuparti delle conseguenze, avrai amici che prenderanno in giro le tue sconfitte e tutto sarà sopportabile, ai limiti del comico.
Impegnati sempre nel lavoro e non farti mai buttare giù dai momenti difficili. La vita è un gioco, e più va avanti, più conoscerai le regole e sarai capace di goderti la partita.
Smetti di prendertela per le cavolate, continua a lasciarti scivolare le cose addosso. Ché non ne vale la pena preoccuparsi, basta riderci su. Farà venire le rughe, sì, ma sentirai di vivere ogni minuto.
Non sottovalutare mai le amicizie, e sii sempre gentile. La gentilezza è importante, e comunque ripaga sempre.
Continua ad essere curiosa del mondo e delle persone che incontri, cerca di essere aperta alle situazioni che la vita ti propone o ti impone.
Metti sempre al primo posto la famiglia, ma fai in modo di mantenere la tua indipendenza. E ricorda di portare a cena fuori la tua mamma almeno una volta alla settimana.
Spero che tu trovi una persona che ti ami e che accetti le tue stranezze ma, se così non fosse, non starci troppo male e prendi un altro gatto.
Quando inizierai a dimenticarti le cose, vendi tutto e goditi il reusorio con i tuoi amici di sempre.
Sono sicura che la seconda metà della tua vita sarà una bella giostra da cui non vorrai scendere.
In bocca al lupo per tutto.
La te 37enne.

 

Se vivi nel passato il tuo domani sarà come ieri.

14 Gen

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Le persone sembrano tutte profonde finché decidi di saltare dentro le loro anime, tappandoti il naso prima del tuffo, per poi scoprire che ti sei bagnato solo la suola delle scarpe.
Ero seduta su una panchina quando ho deciso di chiamarti per allontanarmi da te.
È paradossale che spesso si decida di rimanere immobili nei momenti in cui scappiamo da qualcuno.
Una signora sulla settantina camminava stanca verso il centro medico, due bambini giocavano con il cane sul prato e un rom sorseggiava una birra ghiacciata sulla panchina di fronte.
Ho composto il tuo numero sperando di sentire solo squilli, invidiando quei bambini urlanti – avessi i loro problemi – o forse il cane. – Anzi, sicuramente il cane ne ha ancora meno –.
E invece hai risposto con la strafottenza di sempre – Farnesi, finalmente – iniziando a snocciolare fatti della tua vita come numeri della tombola. Erano 2 giorni che non ci sentivamo e non c’eravamo abituati, il nostro rapporto non era fatto di assenze. O almeno non ancora.
Ti ho ascoltato arricciolando i cavi degli auricolari, togliendo una macchia dalla punta della scarpa sinistra. Ti ho ascoltato controllando lo smalto, guardando il mio sorriso riflesso sullo schermo spento del telefono.
Sono sempre stata brava ad ascoltare, e pure a parlare. A parlare di tutto tranne di quello che provo, lo ha sempre detto anche mia mamma.
Ho pensato di aver sempre preferito le bibite in bottiglia a quelle in lattina perché mi piace poterne vedere il contenuto; forse avrei dovuto avere gli occhi più chiari, così avresti potuto semplicemente guardarmi dentro.
Non so cosa mi abbia fatto iniziare a parlare, credo sia stato il tuo sproloquio sulla teoria di Catullo -odi et amo et blablabla- che mi ha fatto pensare che in effetti mi stai sul cazzo. E che in effetti mi piaci anche per questo. E che in effetti era ora di finirla.
Da quel momento solo la mia incertezza. La tua freddezza. Le mie bugie. Le tue cazzate sulle equazioni del passato che fanno a pugni con le tue idee buddiste del “Se vivi nel passato il tuo domani sarà come ieri”. Le mie teorie. Le tue teorie. La mia resa. Il tuo silenzio.
C’è stato tutto, tranne i nostri sentimenti.
Una signora sulla settantina stava entrando nel centro medico, due bambini rientravano in casa con il cane e un rom appoggiava una bottiglia vuota di birra ghiacciata sulla panchina di fronte.

“Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero”.

1 Ott

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E sto male perchè è finita, perchè si è rivelata una ‘bimbetta’ sotto tanti aspetti” visualizzava il mio telefono a mezzanotte, mentre camminavo verso la macchina dopo una cena a base di ex amori immaturi.
Gli amori sono lo specchio di chi li vive: rassicuranti, strazianti, teatrali, estremi, banali, vuoti. Sono la vita che vorremmo vivere, sono l’uomo che vorremmo essere. La speranza che esista il genio della lampada, il semaforo verde in serie su un viale vuoto, il metronomo dei nostri impegni. Gli amori sono l’illusione di condividere un bozzolo per diventare farfalle. Insieme.
Ci ho messo 7 anni e circa 15 kg per capire che l’uomo della mia vita era solo un uomo che ho incontrato nella vita. 7 anni per metabolizzare un errore. Perchè tutto il dolore che ho provato non è stato averlo perso. Tutto il dolore che ho provato è stato frutto della consapevolezza di aver sbagliato a scegliere, aver sbagliato ancora una volta.
L’amore ci rende schiavi dell’errore. L’errore ci rende schiavi della scelta. La scelta ci rende schiavi della responsabilità.
La responsabilità, l’unica che in realtà abbiamo, è quella di avere il coraggio di essere sè stessi in un mondo di persone che recitano una parte. E trovare qualcuno che ci veda come ci vediamo.
Ne sa qualcosa Vitangelo Moscarda, che un giorno, osservandosi per la prima volta quell’imperfezione fatta notare dalla moglie, si rese conto che la percezione che lui aveva di sè stesso era diversa da quella che gli altri avevano di lui.

E ne rimase ossessionato così tanto da diventare pazzo.

Vedi Napoli e poi cuori (cit.)

18 Giu

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foto di Ilaria Abbiento

Io di Napoli mi sono innamorata. E’ stato un colpo di fulmine.

Napoli ha un sapore antico, di film in bianco e nero. I semafori sono un elemento decorativo e i sacchi dell’immondizia sostituiscono i vasi di fiori ai lati delle strade. Mi sono distratta camminando col naso all’insù, ad ascoltare le donne che si urlano dalle terrazze dirimpetto, per raccontarsi cose che già sanno. Ci si guarda negli occhi a Napoli, la gente sorride di cuore o si lamenta di stomaco, tutto è amplificato. Le chiavi sono ancora nelle serrature, le porte aperte. E’ un teatro, con una scenografia che toglie il fiato. Non ci si infighetta, ci si “concia a mestiere” o si rimane comodi, si sorride e si scherza con chiunque, uomo o donna non fa differenza. Gli anziani hanno ancora voglia di raccontare storie, i giovani hanno ancora voglia di ascoltarle. Non è mai il momento di dire no ad una cosa fritta qualunque, o ad un babà, o ad una pizza e non si è mai mangiato troppo.
A Napoli ho riscoperto la gentilezza. La passione.
Ho perso più volte i pensieri, ho respirato, ho riso di gusto. Ho visto gente ballare per strada, di giorno e di notte. E in quel contesto non c’è musica più bella di quella melodica, urlata, sofferta.
Le persone parlano, le coppie parlano, di qualsiasi età. E mi hanno fatto pensare a quanto mi sono persa mentre aspettavo che il telefono suonasse, durante un aperitivo con un’amica. A quanto si è perso lui che, nel bel mezzo del nostro appuntamento, si è messo a rispondere alla chat di gruppo degli amici.
La mia vita è fatta di parole, pensieri e divertimento. Di uscite con vecchi e nuovi amici, senza pensare che sia un appuntamento, una scopata o un contatto di lavoro. Di incontri e di scontri. Di viaggi.
E mi si apre il cuore a ripensare che mi sono sentita così bene, a Napoli.

 

Un venerdì con tanti nomi

16 Mag

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La sveglia è suonata troppo presto, dopo un giovedì in cui la cena a base di salsiccia e fagioli si è consumata troppo tardi. Una mattina infinita che mi porta a pranzo da Simone. Simone che è semplice e timido, che lavora troppo e che a volte fa il superuomo per sentirsi interessante. Non sappiamo sempre cosa dirci e finiamo col rimanere senza argomenti, ma quegli occhi verdi così sinceri mi raccontano tutto di sé e mi calmano. Il pranzo sola, in riva al mare, a pensare che spesso c’è un moto ingiustificato di pietà verso la solitudine.
Sono andata da lui senza avere tempo per lui, perché ne avevo voglia, perchè le sue attenzioni mi fanno sorridere. E perché il suo vagare agile tra i tavoli che serve, si contrappone benissimo con la sua interiorità goffa e sgraziata. Un pranzo che mi porto in macchina fino all’ufficio, insieme ai suoi occhi verdi, ai quali basta così poco per sorridermi.
Rispondo ad una telefonatafiume di Paolo, che corrisponde quasi sempre al mio buonumore. Mi siedo alla scrivania, accendo il computer. E nell’ufficio quasi vuoto che lascia scorrere lente le note di Van Morrison scrivo a Giacomo, che ieri a tarda notte mi ha chiesto una di quelle informazioni che sembrano una scusa per sentirti, ma che invece sai che era un reale dubbio. E gli scrivo così, con una scusa di quelle banali, di quelle che invece è chiaro che ero io che semplicemente avevo voglia di sentirlo.
Iniziare a lavorare. A pensare. A pensare di lavorare. A lavorare pensando, che le idee mica te le iniettano.
“Cazzo ma ieri avevo chiesto una mano a Giacomo. O forse erano due giorni fa?!”. A un Giacomo che è un altro Giacomo. E constato con rassegnazione che ho troppi Giacomo nella mia vita.
L’ho cercato per opportunismo, scrivendogli di amarlo. Perché lui è colto. E arido. E disilluso. E giocare con lui allo strano gioco delle parti mi appaga. Non per sentimento ma per sfida. Perché lui “ci è”, ma a volte spero che “ci faccia” proprio perché ha capito realmente come prendermi, come non annoiarmi mai, come piacermi.
Le 19.30 ed Emiliano che mi urla dalla stanza di fianco. “APERITIVO?????”
Il bar sotto il nostro ufficio fa uno strano cocktail d’avanguardia chiamato Hugo. D’avanguardia per noi pisani, dato che Emiliano mi ha detto essere un cocktail storico di qualche località montana. Due ore a raccontarci di quando da piccoli smontavamo cose senza saperle rimontare. Del mio nonno che pescava le anguille e le metteva in una grande bacinella con due mattoni e di me e mio cugino che li spostavamo per prenderle con le mani. Di lui e Babba, che per sentirsi dei MacGyver, una volta si sono rinchiusi insieme nella bauliera della macchina, senza sapere più come uscirne. Della mia bisnonna che mi nascondeva i giochi perché altrimenti li avrei consumati. Dei lego, dei playmobil e del Waikiki, che era l’hotel più bello, ma che anche il Fujiyama aveva il suo fascino.
Della nostra serata che erano le nove e sembrava mezzanotte.
E mentre torno a casa penso che è stato un venerdì felice.

E’ solo un irrisolto

21 Apr

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Intorno a quel tavolo eravamo tante storie diverse. C’era un fallimento tatuato sulla pelle, un altro con gli occhi a bottone. C’era un fallimento avvolto da un paio di jeans stretti, uno in un biglietto aereo. C’era un fallimento mascherato da un’attesa troppo lunga e poi c’era il mio, che guardava l’unico trionfo che dormiva in una carrozzina.
Intorno a quel tavolo ci sono stata poco. Ci sono stata poco perché avevo un peso sullo stomaco e troppi pensieri in testa. Perché il destino ha un’ironia tutta inglese, di quella che a volte si capisce male, di quella che non fa così tanto ridere.
La realtà è che questa storia del fallimento non l’ho mica mai capita, ed ho iniziato a chiedermi se il vero fallimento alla fine non sia proprio basare la soddisfazione sulla speranza. Ho passato così tanti anni a capire come colmare un’assenza che ormai mi sono affezionata proprio a quel vuoto.
Il vuoto che rimbomba nello sbattere della porta di una casa troppo grande, quello dei miei tacchi sulle scale. Il vuoto del rumore dei vestiti che cadono a terra e quello del piede che li allontana. Il tonfo sordo mentre mi lascio andare sul materasso. Il vuoto dei miei occhi che fissano il soffitto e il mio pianto senza motivo, senza forze, senza coraggio. Non è uno di quei pianti liberatori che dopo stai subito meglio, come vomitare quando qualcosa ti è rimasto sullo stomaco, è solo un irrisolto.

La regola del 3.

15 Apr

“No, scusa, ripetimi un pò questa storia dei 3 appuntamenti!?” chiedo incuriosita ad Alessio mentre mi versa del vino nel calice per l’ottava volta.
“Quando una donna ti piace ma non troppo, gli appuntamenti sono 3: Conoscenza, Cortesia e Sesso. Poi finisce lì”.
“No, scusa, maccheccazzo c’entra la cortesia” riflettendo ad alta voce divertita.
“Beh, la prima volta la conosci. La seconda è brutto andare dritti al sesso, ma quando arrivi alla terza poi non hai più interesse a rivederla”.
Che poi, riflettendoci, se fossero chiari fin da subito, forse noi la daremmo via al primo appuntamento e perderemmo meno tempo tutti.

“Mi pare comunque che fai un po’ tutto da te…”

28 Mar

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“Mi pare comunque che fai un po’ tutto da te..” mi ha scritto Portachiusa dopo essersi riconosciuto leggendo per caso il mio post.
Ed eccomi lì, a questo incrocio verbale in cui avrei potuto solo imboccare 2 strade e andare a diritto, dato che la retromarcia è esclusa in quanto incapace e orgogliosa di esserlo. IL BIVIO.
Argomentare, chiedere spiegazioni ed addentrarmi in un confronto infinito spaccapalle che si sarebbe concluso esattamente con la stessa frase con cui è iniziato. Quelle situazioni patetiche dalle quali si esce sempre sconfitti e annoiati, quei grammi preziosi di mascara colati sulle palpebre. Quella cosa diabolica chiamata “perseverare”, a discutere di cose inesistenti che mi avrebbero fatto dimenticare la lista della spesa entrando nel supermercato ad un quarto d’ora dalla chiusura, in cui non sono ammessi errori.
Oppure.
Oppure godermela. Perché, diciamocelo, le parole non servono quando nessuno dei due è pronto ad ascoltare l’altro.

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E proprio per questo, in cinque giorni esatti, sono riuscita brillantemente a concludere da sola le seguenti ed esaltanti operazioni:
dormire tra 2 cuscini in posizione Cristo – lavorare senza distrarmi – fare colazione seduta al tavolo del bar – mangiare roba scondita sul divano guardando commedie da quattro soldi – struccarmi togliendo con cura il mascara waterproof – andare a piedi a procacciarmi il pranzo – bermi una spumina bionda guardando, attraverso un vaso di gerani, persone che camminano – agghindarmi a capodanno e brindare.

“Comunque, MI pare anche a ME”.

(Domani torna Giba da Londra per un paio di giorni, la notizia importante è questa. Bere, mangiare, bere & segretini. E bere.)

 

La festa e la porta.

24 Mar

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Vestirsi di corsa e truccarsi a gavettoni di polveri brillanti.
Stendere con cura il rossetto color fragola.
Scivolare in bagno e troncarsi un’unghia.

Sono tesa, in ritardo e spettinata. Spettinata cazzo, perché non ho avuto voglia di farmi una cazzo di piega decente.
Prendo borsa, cappello e bottiglie dal frigo, perché ognuno deve portare qualcosa da bere e la mia astuta soluzione è il gin tonic.  Antonella mi sta aspettando alla stazione ed io sono in ritardo, profumo come un mignottone ad inizio turno e continuo a guardarmi i capelli che non hanno un senso.
Esco e rientro di corsa, mi sono dimenticata la borsa col Gin. La maniglia della borsa si spezza, il gin si rompe e io mi fracasso al suolo scivolando sull’alcol.

E’ lì che dovevo capire che la serata sarebbe dovuta finire così. Avrei dovuto pulire, spogliarmi, struccarmi e guardare c’èpostaperte. Perché non ne vale mai la pena riprendere un discorso finito, una storia mai decollata, una conocenza che è forse un’amicizia, che forse è in realtà solo una porta chiusa nella quale sbattere di nuovo.

Lascio il gin a terra, evaporerà. Compro un’altra bottiglia e corro a prendere Antonella.

Il resto della serata sono facce nuove, bevute, sorrisi, bevute, bevute, balli accennati, bevute e una porta chiusa.

Torno a casa, scivolo di nuovo sul Gin. Scoppio in una risata incontrollata.

Quella bottiglia rotta è la metafora della mia serata.

Lascio tutto così e vado a letto, con due lividi sulle ginocchia e uno nella mente.

Superpoteri da ossigeno per capelli #1

26 Gen

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Ho sempre sospettato che anni e anni e anni di colpi di sole avrebbero prima o poi dominato la mia mente. Più delle droghe, più delle delusioni d’amore, più delle letture compulsive di “cioè”.
E proprio circa 10 giorni fa ho avuto l’illuminazione mentre, seduta davanti ad un uomo nudo, ho detto indicando il suo pene: “lui va benissimo, è tutto quello che c’è intorno che non va“: SO DIRE LA COSA SBAGLIATA AL MOMENTO GIUSTO.
So farlo, me l’ha insegnato l’ossigeno.
Inutili sono stati i tentativi delle mie amiche di arginare il problema commentando le mie disfatte verbali con le solite frasi tipo “la tua è solo paura, perchè lui ti piace“, “volevi metterlo alla prova” o addirittura “era in erezione, non ascoltava“.
Mi succede spesso, mi succede sempre. Pare che la mia mente sappia calcolare il momento esatto in cui dovrei stare zitta, la curva più alta dell’imbarazzo da cagata, e lì ci spari una frase sensatamente incivile e grottesca.
Come quella volta quando, ubriaca ad un matrimonio davanti al bancone del bar, guardai un invitato e prima di dire cose tipo “che bel vestito” o anche “stai bene stasera“, mi è uscito un “ti tromberei ma non ti tromberò“. Che poi in effetti era anche vero, avevo bevuto, mi facevano male i piedi, ed ero stanca ma..c’era davvero bisogno di dirlo?
E alla fine, diciamocelo, scherzavo in entrambi i casi. Ma suona tanto di quello scherzo di merda, come il dentifricio sulle labbra mentre dormi.
Speriamo che lo shatush migliori la situazione, dato che non arriva alla radice.

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